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11 aprile 2016

AMNESTY: APPELLI E AZIONI URGENTI

APPELLI:

Mauritania: salviamo la vita di Mohamed Mkhaïtir!

India: professore universitario e tre studenti detenuti per sedizione
Matrimonio egualitario subito!

Venezuela: Leopoldo Lopez deve essere rilasciato!

 Azerbaigian: difensori dei diritti umani in pericolo
Salviamo Fred e Yves dalla pena di morte!

 AZIONI URGENTI

Rifugiati intrappolati in Grecia: vergogna dell'Europa

Bahrein: fratello di noto avvocato dei diritti umani torturato
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07 febbraio 2016

Amnesty International: la Turchia garantisca l'ingresso sicuro ai siriani in fuga da Aleppo sotto attacco

 press@amnesty.it

Feb 5 alle 6:13 PM

A

stampa@amnesty-ml.amnesty.it

Corpo del messaggio



COMUNICATO STAMPA
CS022-2016

AMNESTY INTERNATIONAL: LA TURCHIA GARANTISCA L’INGRESSO SICURO AI SIRIANI IN FUGA DA ALEPPO SOTTO ATTACCO

Amnesty International ha sollecitato il governo turco a garantire l’ingresso in condizioni di sicurezza alle decine di migliaia di persone - da 40.000 a 70.000 - in fuga da Aleppo a causa degli attacchi delle forze russe e dell’esercito siriano.

Secondo le notizie ricevute dall’organizzazione per i diritti umani, almeno 20.000 persone sarebbero già in attesa di entrare in Turchia dal valico di Oncupinar, nella provincia di Kilis, che tuttavia resta chiuso.

“La Turchia ha permesso a tantissime persone di fuggire dall’orrore della guerra e della catastrofe umanitaria. Non può ora chiudere la porta a persone alla disperata ricerca di salvezza” – ha dichiarato Sherif Elsayed-Ali, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International.

“Queste persone sono scampate ad attacchi aerei e a duri combattimenti e con ogni probabilità sono traumatizzate ed esauste. La Turchia deve consentire loro di entrare e la comunità internazionale deve fare tutto il possibile per dare adeguato sostegno al paese” – ha aggiunto Elsayed-Ali.

Amnesty International ha documentato massicci attacchi illegali contro centri abitati e strutture sanitarie da parte delle forze governative siriane per tutta la durata del conflitto e, recentemente, sempre più spesso da parte delle forze russe, che nel settembre 2015 sono intervenute in appoggio al governo siriano. Amnesty International ha raccolto prove circa l’uso illegale di bombe non guidate contro centri densamente popolati così come delle bombe a grappolo, che per loro natura sono armi indiscriminate.

“L’offensiva congiunta russo-siriana su Aleppo sta facendo pagare un duro prezzo alla popolazione civile, costringendo numerose migliaia di persone alla fuga e alimentando il timore di un ulteriore assedio, dato che le vie di rifornimento verso le zone controllate dall’opposizione sono state bloccate. Non vediamo come la comunità internazionale possa dirsi sorpresa di questo esodo” – ha proseguito Elsayed-Ali.

“La conferenza dei donatori svoltasi il 4 febbraio a Londra si è impegnata a versare 10 miliardi di dollari in favore delle persone colpite dalla guerra della Siria, ma gli sviluppi odierni testimoniano ulteriormente l’urgenza di questi fondi. La Turchia, insieme al Libano e alla Giordania, sta ospitando un numero enormemente sproporzionato di rifugiati ed è fondamentale che la comunità internazionale dia seguito agli impegni e metta inoltre a disposizione un numero maggiore di posti per il reinsediamento”.

 FINE DEL COMUNICATO
Roma, 5 febbraio 2016

EGITTO, GIULIO REGENI: DICHIARAZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA

A seguito della notizia del ritrovamento, al Cairo, del corpo del ricercatore italiano Giulio Regeni con segni di tortura, il direttore generale di Amnesty International Italia Gianni Rufini ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Amnesty International Italia esprime profonda solidarietà ai familiari di Giulio Regeni. La Farnesina deve sollecitare il governo egiziano a chiarire al più presto le modalità di questo drammatico episodio. Ci aspettiamo da parte delle autorità egiziane un'inchiesta approfondita, rapida e indipendente. La tortura in Egitto è un fatto comune e ordinario e Regini era scomparso in un giorno di particolare tensione, il 25 gennaio, quinto anniversario della caduta di Hosni Mubarak.”

Roma, 4 febbraio 2016

28 gennaio 2016

AMNESTY: DANIMARCA: UN GIORNO NERO PER IL DIRITTO D'ASILO

DANIMARCA, GIORNO NERO PER IL DIRITTO D'ASILO: IL PARLAMENTO APPROVA LE PROPOSTE DEL GOVERNO

Il 26 gennaio il parlamento danese ha approvato una serie di modifiche alla
legislazione in materia d’asilo. Tra queste, il sequestro di denaro e beni di
valore per coprire le spese della procedura per la determinazione dello status
di rifugiato e il prolungamento dei tempi d’attesa per chiedere il
ricongiungimento familiare.

“Prolungare senza alcun motivo la sofferenza di persone già vulnerabili
allungando i tempi del ricongiungimento familiare è un errore. La Danimarca ha
ripudiato il suo storico sostegno alle norme internazionali sancite dalla
Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati. Gli stati europei devono porre
fine al progressivo distacco dai loro obblighi internazionali e proteggere la
dignità e i diritti umani dei rifugiati” – ha dichiarato John Dalhuisen,
direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.


Roma, 27 gennaio 2016

01 gennaio 2016

DIFESA DEI DIRITTI UMANI A PAPUA

"Ringrazio i miei amici di Amnesty International che hanno per tanto tempo lottato per il mio rilascio. Vorrei...

Posted by Annalisa D'Orazio on Venerdì 1 gennaio 2016

04 luglio 2015

APPELLO: LIBERTA' PER ATENA FARGHADANI!

Atena Farghadani, artista e attivista iraniana di 29 anni, è stata condannata a 12 anni di prigione per aver criticato...

Posted by UAAR Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti on Sabato 4 luglio 2015

19 giugno 2015

ECCO DA COSA FUGGONO GLI ERITREI

5000 persone al mese fuggono dall'Eritrea, uno stato-prigione in cui ogni tentativo di opposizione viene stroncato e punito col carcere e con la tortura

Posted by Amnesty International - Italia on Giovedì 18 giugno 2015

“OGNI FRUSTATA A RAIF BADAWI È UNA FRUSTATA A OGNUNO DI NOI”

COMUNICATO STAMPA                                                                                                   
CS091-2015 

“OGNI FRUSTATA A RAIF BADAWI È UNA FRUSTATA A OGNUNO DI NOI”. DOMANI A ROMA ALLE 18 LE SCHIENE COI SEGNI DELLA FUSTIGAZIONE NEL SIT-IN DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA DI FRONTE ALL’AMBASCIATA DELL’ARABIA SAUDITA 

All’indomani della conferma in via definitiva della condanna del blogger saudita Raif Badawi a 10 anni di carcere e a 1000 frustate, Amnesty International Italia ha nuovamente convocato una protesta di fronte all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma. L’appuntamento è alle 18 di venerdì 12 giugno in via Giambattista Pergolesi 9. 

Vi è infatti il timore che, dopo la decisione presa il 6 giugno dalla Corte suprema di confermare la condanna emessa in primo grado nel maggio 2014 per “offesa all’Islam”, attraverso i contenuti del forum online “Liberali dell’Arabia Saudita”, le sessioni settimanali di 50 frustate – iniziate il 9 gennaio e poi sospese – possano riprendere già questo venerdì. 

Confermando la condanna, in evidente contrasto col divieto internazionale di tortura e di pene e trattamenti crudeli inumani e degradanti, le autorità dell’Arabia Saudita hanno reso chiaro che il loro obiettivo non è la giustizia ma usare il caso di Raif Badawi per ridurre a zero ogni possibilità di esprimere liberamente le opinioni all’interno del paese. 

Amnesty International Italia aveva già organizzato per 11 settimane consecutive iniziative di fronte all’Ambasciata dell’Arabia Saudita, insieme ad Articolo 21, Federazione nazionale della stampa italiana, Un ponte per…, la rivista Confronti, Medici contro la tortura, Rete per la pace e Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento europeo. 

Il 12 febbraio, una delegazione di Amnesty International Italia era riuscita a consegnare a un funzionario dell’Arabia Saudita le prime 15.000 firme raccolte per chiedere la scarcerazione di Raif Badawi, obiettivo per il quale si sono mobilitate milioni di persone nel mondo. 

Con lo slogan “Ogni frustata a Raif Badawi è una frustata a ognuno di noi”, domani gli attivisti di Amnesty International Italia simuleranno di fronte all’Ambasciata saudita la pena della fustigazione, mostrando le loro schiene colorate di rosso, a riprodurre i colpi della frusta. 

FINE DEL COMUNICATO                                                                       
Roma, 11 giugno 2015 

Per maggiori informazioni e per firmare l’appello: 
http://appelli.amnesty.it/raif-badawi/ 


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10 maggio 2014

AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA ALL’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI ENI

COMUNICATO STAMPA                                                                                                                  
CS063-2014

AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA ALL’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI ENI

Questa mattina Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia, e’ intervenuto all’Assemblea generale degli azionisti di Eni.
Dal novembre 2009 Amnesty International Italia, titolare di un’azione di Eni, e’ impegnata in un dialogo con l’azienda sull’impatto delle sue attivita’ sull’ambiente e i diritti umani nel delta del fiume Niger, in Nigeria.

Nei numerosi incontri, l’ultimo dei quali avvenuto il 1° aprile di quest’anno, Amnesty International Italia ha sempre evidenziato come la mancanza di trasparenza complessiva sugli impatti ambientali dell'industria petrolifera che opera in Nigeria - in particolare, sulle fuoriuscite di petrolio e le indagini condotte per accertarne le cause - metta a rischio i diritti umani delle popolazioni che vivono sul delta del fiume Niger.

Ad aprile, Eni ha pubblicato il sito Internet Naoc Sustainability in cui Naoc (Nigerian Agip Oil Company), la consociata di Eni in Nigeria, riporta informazioni relative ai progetti di riduzione delle torce del gas flaring, alle fuoriuscite di petrolio, alle valutazioni di impatto ambientale e ai progetti per le comunita’ e il territorio.

La decisione di Eni di mantenere l'impegno, preso durante l'Assemblea degli azionisti del 2013 dal suo amministratore delegato, a fornire informazioni sulle indagini sulle fuoriuscite di petrolio e’ stata pubblicamente apprezzata da Amnesty International Italia.

Nel suo intervento all’Assemblea generale degli azionisti, Rufini si e’ soffermato sulle fuoriuscite di petrolio riferite da Eni nel suo Consolidato di sostenibilita’. Nel 2013, gli incidenti che hanno causato fuoriuscite di petrolio sono stati stimati dall’azienda nel numero di 386. Il volume totale e’ stato di 7903 barili di petrolio greggio fuoriuscito, 6002 dei quali a causa di atti di sabotaggio e di terrorismo.

Un’altra fonte, l’Agenzia nigeriana per il rilevamento e l'intervento per le fuoriuscite di petrolio, evidenzia che negli ultimi sei anni Eni ha registrato l'aumento piu’ impressionante di fuoriuscite di petrolio, il cui numero e’ piu’ che raddoppiato (da 235 fuoriuscite nel 2008 a 471 da gennaio alla fine di settembre 2013).
Infine, stando alle informazioni riportate sul sito Naoc Sustainability, nei primi due mesi del 2014 Eni ha riportato 56 incidenti con una stima di 1156,7 barili di petrolio sversati. Anche in questo caso, la maggior parte delle fuoriuscite e’ stata imputata ad atti di sabotaggio e furto.

“Negli ultimi anni, in Nigeria, il numero di fuoriuscite segnalate e causate dall'operato di Eni e’ stato quasi il doppio rispetto a quello imputato a Shell, sebbene quest'ultima occupi un'area maggiore. Il volume di barili sversati nel paese a causa di atti di sabotaggio e furto continua a sembrare incredibilmente elevato. Un cosi’ grande numero di fuoriuscite, qualunque sia la causa, e’ imperdonabile per un operatore responsabile” – ha dichiarato Rufini.

Eni ha inoltre reso noto che "sta testando tecniche innovative mirate a migliorare l'individuazione precoce delle fuoriuscite dalle tubazioni (uso di fibre ottiche, idrofoni) e a disincentivare le attivita’ di furto del petrolio (uso di barriere chimiche/meccaniche)". Sebbene l'impegno all'azione di Eni sia benvenuto, Amnesty International Italia resta preoccupata per la circostanza che un'azienda che ha visto quasi 500 fuoriuscite in soli nove mesi del 2013 e gia’ 56 nei primi due mesi del 2014 non abbia ancora intrapreso azioni per fermare significativamente le fuoriuscite di petrolio.

“Indagare sulle fuoriuscite di petrolio nel delta del fiume Niger e’ un importante questione di diritti umani” – ha ricordato Rufini. “L’inquinamento causato negli ultimi 50 anni dalle aziende petrolifere presenti sul territorio, tra cui Shell, Total e la stessa Eni, ha contaminato il suolo, l’acqua e l’aria del delta del Niger contribuendo alla violazione del diritto alla salute e a un ambiente sano, del diritto a condizioni di vita dignitose, inclusi il diritto al cibo e all’acqua, nonche’ del diritto a guadagnarsi da vivere attraverso il lavoro. Le persone colpite sono centinaia di migliaia, in particolare i piu’ poveri e coloro che dipendono dai mezzi di sussistenza tradizionali, come pesca e agricoltura”.
 
La pubblicazione su Internet delle informazioni relative alle indagini sulle fuoriuscite di petrolio, cosi’ come fatto da Eni, permette sicuramente una maggiore possibilita’ di condurre una revisione indipendente dei dati pubblicati e di ridurre quindi la possibilita’ di cattive pratiche. Sebbene Eni abbia intrapreso questo passo positivo, Amnesty International Italia ritiene necessario che siano poste in essere ulteriori forti misure per garantire che le informazioni fornite siano attendibili e possano essere verificate in maniera indipendente.

“Rendere pubblici i dati delle fuoriuscite di petrolio e delle relative operazioni per porvi rimedio e bonificare la zona, dimostrerebbe una chiara assunzione di responsabilita’ e permetterebbe a Eni di essere maggiormente trasparente nei confronti della comunita’ nigeriana cosi’ come dei suoi azionisti” – ha proseguito Rufini. “Per questo Amnesty International Italia continuera’ a monitorare il sito Internet di Naoc Sustainability, offrendo raccomandazioni per sviluppare ulteriormente questo strumento”.  

La salvaguardia dei diritti umani, nel delta del fiume Niger, deve venire prima del profitto economico. Per questo, Amnesty International Italia ha rivolto una serie di richieste alla compagnia:

1. entro quando Eni intende pubblicare sul sito internet Naoc Sustainability tutti i report delle Joint investigation visit, comprensive di fotografie e video relativi dal 2000 ad oggi assicurando che le fotografie siano nitide e che forniscano elementi di prova verificabili della causa e dell'area interessata e che i video possano garantire verifiche indipendenti sul flusso di petrolio in fuoriuscita quando ha avuto luogo la Joint investigation visit e pubblicando le informazioni su come e quando e’ stato arrestato o isolato il flusso di petrolio;
2. entro quando Eni intende pubblicare tutte le procedure di clean-up intraprese per tutti gli sversamenti che hanno avuto luogo dal 2000 sino ad oggi.
3. entro quando Eni intende migliorare concretamente i controlli di sicurezza alle infrastrutture petrolifere per evitare sabotaggi e furti, nonche’ impegnarsi ad adottare la tecnologia migliore a disposizione per evitare fuoriuscite nel delta del Niger.
4. quali sono i rapporti economici, politici, tecnici, operativi e d’intelligence tra Eni e l’operazione “Pulo Shield” delle forze di sicurezza nigeriane, accusata di gravi violazioni dei diritti umani delle popolazioni del delta del Niger.
5. quali iniziative sono state prese nei confronti delle comunita’ locali, della societa’ civile e delle autorita’ tradizionali, per risolvere o contenere, con metodi innovativi, i problemi legati al bunkering e alla limitazione dell’accesso alla zona per i team tecnici di Eni?  

Durante l’Assemblea generale di Eni, l’amministratore delegato Paolo Scaroni ha fornito alcune prime risposte, basate principalmente sulle informazioni gia’ pubblicate sul sito della compagnia nella risposta scritta alle domande pervenute prima dell’Assemblea da parte di Amnesty International Italia.

Amnesty International Italia intende quindi richiedere un approfondimento delle importanti tematiche sollevate - che esulano dalla pubblicazione delle date degli sversamenti sul citato sito Internet - e auspica che questo possa essere fatto al piu’ presto in un incontro con i neo-nominati vertici di Eni.

FINE DEL COMUNICATO                                                                                
Roma, 8 maggio 2014

Per interviste:
Amnesty International Italia – Ufficio Stampa
Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: press@amnesty.it

27 marzo 2014

RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA PENA DI MORTE NEL 2013


RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA PENA DI MORTE NEL 2013: 
UN PICCOLO NUMERO DI PAESI RESPONSABILE DELL’AUMENTO DELLE ESECUZIONI 

Secondo il rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte, Iran e Iraq hanno determinato un profondo aumento delle condanne a morte eseguite nel 2013, andando in direzione opposta alla tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte. 

Allarmanti livelli di esecuzioni in un gruppo isolato di paesi – soprattutto i due mediorientali – hanno determinato un aumento di quasi 100 esecuzioni rispetto al 2012, corrispondente al 15 per cento. 

“L’aumento delle uccisioni cui abbiamo assistito in Iran e Iraq e’ vergognoso. Tuttavia, quegli stati che ancora si aggrappano alla pena di morte sono sul lato sbagliato della storia e di fatto sono sempre piu’ isolati” – ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. “Solo un piccolo numero di paesi ha portato a termine la vasta maggioranza di questi insensati omicidi sponsorizzati dallo stato e cio’ non puo’ oscurare i progressi complessivi gia’ fatti in direzione dell’abolizione”. 

Il numero delle esecuzioni in Iran (almeno 369) e Iraq (169) pone questi due paesi al secondo e al terzo posto della classifica, dominata dalla Cina dove – sebbene le autorita’ mantengano il segreto sui dati – Amnesty International ritiene che ogni anno siano messe a morte migliaia di persone. L’Arabia Saudita e’ al quarto posto con almeno 79 esecuzioni, gli Stati Uniti d’America al quinto con 39 esecuzioni e la Somalia al sesto con almeno 34 esecuzioni. 

Escludendo la Cina, nel 2013 Amnesty International ha registrato almeno 778 esecuzioni rispetto alle 682 del 2012. 

Nel 2013 le esecuzioni hanno avuto luogo in 22 paesi, uno in piu’ rispetto al 2012. Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam hanno ripristinato l’uso della pena di morte. 

Nonostante i passi indietro del 2013, negli ultimi 20 anni vi e’ stata una decisa diminuzione del numero dei paesi che hanno usato la pena di morte e miglioramenti a livello regionale vi sono stati anche l’anno scorso. 

Molti paesi che avevano eseguito condanne a morte nel 2012 non hanno continuato nel 2013, come nel caso di Bielorussia, Emirati Arabi Uniti, Gambia e Pakistan. Per la prima volta dal 2009, la regione Europa – Asia centrale non ha fatto registrare esecuzioni. 

Trent’anni fa, il numero dei paesi che avevano eseguito condanne a morte era stato di 37. Il numero era sceso a 25 nel 2004 ed e’ ulteriormente sceso a 22 l’anno scorso. Nell’ultimo quinquennio, solo nove paesi hanno fatto ricorso anno dopo anno alla pena capitale. 

“Il percorso a lungo termine e’ chiaro: la pena di morte sta diventando un ricordo del passato. Sollecitiamo tutti i governi che ancora uccidono in nome della giustizia a imporre immediatamente una moratoria sulla pena di morte, in vista della sua abolizione” – ha concluso Shetty. 

In molti paesi che ancora vi ricorrono, sottolinea il rapporto di Amnesty International, la pena di morte e’ circondata dal segreto e in alcuni casi le autorita’ neanche informano le famiglie e gli avvocati - per non parlare dell’opinione pubblica – sulle esecuzioni in programma. 

Metodi e reati 

I metodi d’esecuzione usati nel 2013 comprendono la decapitazione, la somministrazione di scariche elettriche, la fucilazione, l’impiccagione e l’iniezione letale. Esecuzioni pubbliche hanno avuto luogo in Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran e Somalia. 

Persone sono state messe a morte per tutta una serie di crimini non letali tra cui rapina, reati connessi alla droga, reati economici e atti che non dovrebbero essere neanche considerati reati, come l’adulterio o la blasfemia. Molti paesi hanno usato vaghe definizioni di reati politici per sbarazzarsi di reali o presunti dissidenti. 

Dati regionali 

Medio Oriente e Africa del Nord 

In Iraq, per il terzo anno consecutivo, c’e’ stato un profondo aumento delle esecuzioni, con almeno 169 persone messe a morte, quasi un terzo in piu’ del 2012, prevalentemente ai sensi di vaghe norme antiterrorismo. 

In Iran, le esecuzioni riconosciute ufficialmente dalle autorita’ sono state almeno 369, ma secondo fonti attendibili centinaia di altre esecuzioni sarebbero avvenute in segreto, innalzando il totale a oltre 700. 

L’Arabia Saudita ha continuato a usare la pena di morte come nei due anni precedenti, con almeno 79 esecuzioni nel 2013. Per la prima volta da tre anni e in violazione del diritto internazionale, sono stati messi a morte tre minorenni al momento del reato. 

Se si esclude la Cina, Iran, Iraq e Arabia Saudita hanno totalizzato l’80 per cento delle esecuzioni del 2013. 

Tra i limitati passi avanti, non vi sono state esecuzioni negli Emirati Arabi Uniti e il numero delle condanne a morte eseguite in Yemen e’ diminuito per il secondo anno consecutivo.

Africa 

Nell’Africa subsahariana solo cinque paesi hanno eseguito condanne a morte: Botswana, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Sudan, col 90 per cento delle esecuzioni registrato in Nigeria, Somalia e Sudan. In Somalia, le esecuzioni sono aumentate da sei nel 2012 ad almeno 34 nel 2013. 

In Nigeria, dopo una dichiarazione del presidente Goodluck Jonathan che aveva ridato via libera alle esecuzioni, sono stati impiccati quattro prigionieri: si e’ trattato delle prime esecuzioni dopo sette anni. 

Diversi stati, tra cui Benin, Ghana e Sierra Leone, hanno fatto registrare passi avanti importanti, attraverso modifiche costituzionali o emendamenti al codice penale volti all’abolizione della pena di morte. 

Americhe 

Ancora una volta, gli Stati Uniti d’America sono stato l’unico paese della regione a eseguire condanne a morte, sebbene le esecuzioni, 39, siano state quattro di meno rispetto al 2012. Il 41 per cento delle esecuzioni ha avuto luogo in Texas. Il Maryland e’ diventato il 18esimo stato abolizionista. 

Diversi stati caraibici hanno svuotato i bracci della morte per la prima volta da quando, negli anni Ottanta, Amnesty International ha iniziato a seguire l’andamento della pena di morte in quella zona. 

Asia 

Il Vietnam ha ripreso a eseguire condanne a morte, cosi’ come l’Indonesia, dove dopo una pausa di quattro anni sono state messe a morte cinque persone, tre delle quali per traffico di droga. 

La Cina ha continuato a mettere a morte piu’ persone del resto del mondo messo insieme, ma a causa del segreto di stato e’ impossibile ottenere informazioni realistiche. Vi sono stati piccoli segnali di progresso, con l’introduzione di nuove disposizioni legali nei casi di pena di morte e con l’annuncio della Corte suprema che sarebbe stata posta fine all’espianto degli organi dei prigionieri al termine dell’esecuzione. 

Nessuna esecuzione e’ stata segnalata da Singapore, dove diversi prigionieri hanno ottenuto la commutazione della condanna a morte. 

L’area del Pacifico e’ rimasta libera dalla pena di morte, nonostante il governo di Papua Nuova Guinea abbia minacciato di riprendere le esecuzioni. 

Europa e Asia centrale 

Per la prima volta dal 2009, in quest’area non vi sono state esecuzioni. Il solo paese che ancora si aggrappa alla pena capitale e’ la Bielorussia, dove comunque nel 2013 non sono state eseguite condanne. 

Ulteriori informazioni 

Al link http://appelli.amnesty.it/pena-di-morte-2013 e’ possibile navigare un’infografica interattiva sulla pena di morte nel mondo nel 2013; scaricare le mappe e il rapporto “Condanne a morte ed esecuzioni nel 2013”; il documento di fatti e cifre e firmare l’appello per Hussain Almerfedi, detenuto nella base navale statunitense di Guantánamo Bay dal 2003 e che, se accusato di avere aiutato combattenti stranieri, rischia la pena di morte. 

FINE DEL COMUNICATO                                                                                 
Roma, 27 marzo 2014 

Per interviste: 
Amnesty International Italia – Ufficio Stampa 
Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: press@amnesty.it 

NEWS DA INFOINRETE 18/11/25

Processo Maradona, giudice radiata: “Cercava notorietà”. Il processo ripartirà solo nel 2026 Data: 18/11/2025 Sintesi: Sospeso e poi annulla...